Una bella storia, quella di Fosco Romano Casini,
classe 1925, vissuta tutta nel cuore
dell’Appennino Tosco Romagnolo tra Cornacchiaia e Scheggianico, periferie di
Firenzuola. Genitori cattolici del Partito Popolare di don Luigi Sturzo, il
padre muore a 51 anni lasciando al fratello maggiore l’onere di capofamiglia a
16 anni. Un contesto umile dove tutta l’economia ruota attorno al castagno e ad
una agricoltura ancora primitiva. Fosco continua l’attività del padre, quella
del fabbro. Un mestiere che nobilita e che appaga nonostante la faticosa
routine tra il fuoco del forno e la durezza dei metalli. I ferri delle bestie,
i gangheri delle porte e i piccoli utensili che scandiscono la vita contadina
come gli alari, i lampadari e i cancelli nascono dalle sue mani e si diffondono
nelle cascine dei mezzadri e dei montanari. Questa realtà già caduca, subisce
un fremito con l’entrata in guerra dell’Italia nel giugno del 1940. L’annuncio
ascoltato alla radio del bar, il quindicenne Fosco lo vive male. Nonostante la
giovanissima età sente che quel messaggio sarà foriero di tragedie e di
separazioni, come quella del fratello chiamato alle armi.
Tre anni di
apparente calma vengono drammaticamente interrotti dall’occupazione militare
tedesca e dalla chiamata alle armi della classe 1925 per la Repubblica di Salò.
Per non arruolarsi Fosco lavora con la
Todt a scavare trincee e gallerie al Passo del Giogo per l’allestimento della
Linea Gotica. Poi nei primi mesi del ’44 le asportazioni e i rastrellamenti
cominciano a connotare il dominio del Terzo Reich sul nostro Paese e Fosco,
fiutando l’aria, approfitta di un giorno libero per darsi alla macchia. A tarda
sera dopo il rientro dalle trincee del Giogo, Fosco, insieme al cugino
Valdemaro, vede la propria casa circondata da una pattuglia di tedeschi che
operavano un'ispezione. I due ragazzi rifugiatisi in cantina mentre i militari occupavano
la casa, fuggono a rotta di collo da una finestra aperta per l'occasione dalla
sorella Adele. Ma è dura rimanere
imboscato, senza contatti con nessuno per tanti giorni. Dormiva negli
essiccatoi delle castagne e mangiava qualche pesce del fiume. Il freddo e la
fame lo spingono perciò nel paese di Firenzuola che in quei giorni è oggetto di
un grosso rastrellamento tedesco. Molti di questi prigionieri finiranno poi a
Prato e in Germania a lavorare coattamente nelle industrie di Hitler. Altri
riusciranno a fuggire tra le maglie ancora larghe lasciate dalla Wehrmacht. Dopo
giorni di digiuno quasi totale, e nottate all'addiaccio, Fosco prende contatto con alcuni partigiani e decide così di entrare
nella brigata partigiana di Libero, la Trentaseiesima Brigata Garibaldi
“Alessandro Bianconcini”. Era un continuo
movimento tra le alture, missioni pericolose come il blocco di strade e scontri
diretti con i nazisti. Si procedeva uniti, pur nelle differenze ideologiche e
tattiche. Perché la Resistenza è stata un movimento eterogeneo: al suo interno
vi convivevano i borghesi dotti di Luigi Meneghello, gli intimisti apolitici di
Beppe Fenoglio, i comunisti formati o da anni di confino o attratti dalla
rivoluzione sovietica e supportati dal PCI, che rimaneva il partito più
strutturato, e i cattolici come Fosco, convinti che quella fosse la scelta più
giusta e ascoltavano in silenzio gli indottrinamenti del commissario politico.
Per questo, in un giudizio morale sull’operato dei partigiani, tutti questi
aspetti – dopo la caduta delle maggiori ideologie del secolo scorso – vanno
messi in secondo piano e va conservato e trasmesso quel patrimonio comune di
riscatto nazionale e di patriottismo che era ben evidente sin dalle origini. Accadeva anche di
prendere prigionieri, emblematico il caso della cattura di quattro soldati, un
tedesco due lituani ed un austriaco, tutti giovanissimi, che rischiò di rendere
critici i rapporti nella brigata tra chi voleva giustiziarli e chi come Fosco,
vedendo in loro dei ragazzi costretti a combattere come unica alternativa di un
arruolamento coatto, voleva tenerli in vita. I quattro
sopravvissero a testimonianza di come, seppur divisi tra fedi politiche ed ideologie,
la brigata fosse unita. Sul finire di Settembre del '44 Fosco partecipa ai
combattimenti di Monte Battaglia.
Qui la Brigata
Garibaldi respinse, sotto una pioggia battente, le truppe tedesche dopo un
lungo tragico scontro a cui successivamente si unirono truppe americane. La strenua
resistenza di partigiani e soldati americani, costata più di duemila vittime,
fu un episodio di grande valore per la liberazione dell'Italia dai
nazifascisti. Più significativo
per Fosco il contatto con gli Americani avvenuto presso il borgo di Visignano. I Partigiani che lì
si erano acquartierati avvistano da lontano un grosso contingente di militari
che si avvicinano. Preparati al peggio si rifugiano tra le case pronti a
tendere un imboscata al nemico... Quale sorpresa per
Fosco quando compaiono “elmetti diversi” da quelli nazisti e quando un
sottufficiale comincia a domandare ad una vecchietta se: “mamma tu ha visto
partigiani?”, “Tu dire noi, noi americani... Papà e mammà miei Napoletani!”...
Così all'ombra di
blindati “enormi come montagne” Fosco e
compagni festeggiano un incontro insperato... festeggiamento presto interrotto
da un cannoneggiamento operato dai tedeschi allertati dal suono delle campane
della chiesa locale... la guerra non era finita.
L’incontro con i
blindati americani “enormi come montagne” fu una gioia incontenibile,
finalmente si poteva raggiungere il proprio paese e la propria casa. Fosco la
trovò fortunatamente ancora in piedi e allora i pidocchi che lo infestavano
divennero una parentesi alquanto sopportabile. Senza soluzione di continuità
bisognava pensare alla ricostruzione dei paesi e alla ripresa di una vita
normale ed un futuro nuovo. Un futuro
migliore per figli e nipoti.
Angelo Gentilini, da "sabato sera".