Sentire il vento che ti sbatte in faccia, buttarsi tra due ali di folla rischiando ad ogni curva di finire contro le transenne, e incrociare a millimetrica distanza lo sguardo terrorizzato di uno spettatore. Correre per quaranta minuti trattenendo il respiro, ascoltando solo il battito del cuore, consapevole che ogni pedalata a folle velocità può nascondere insidie. Pedalare senza freni è pazzia e insieme coraggio. Quello scatto fisso, un solo rapporto, l'incredibile capacità di mantenersi in equilibrio tra il pericolo di non cadere, lo scattare in piedi sui pedali, il non poter frenare e la voglia di alzare le braccia sotto lo striscione d'arrivo. Lo scatto fisso, le gare di fixed, una sorta di ciclismo su pista ma fatto in strada è tutto questo. Un ciclismo alternativo che ha il suo mentore italiano in Ivan Ravaioli. Faentino ma trasferitosi nel trevigiano per amore e per lavoro, di lavoro appunto, dopo essere stato corridore per quattro stagioni alla zalf e poi professionista due anni è il corridore di fixed italiano più conosciuto nel mondo. Occhi grandi azzurri, profondi, racconta quello che oggi è la fixed. Tra hipster, hip hop, radical chic, hippie, è un ciclismo alternativo. “Una seconda giovinezza – racconta Ivan Ravaioli, che a 35 anni, dopo essere stato un ottimo professionista, amico e compagno anche di Marco Pantani – con un ciclismo non più fatto per professione ma per passione e divertimento”. La fixed nella borsa, viaggia da New York a Londra, da Barcellona a Milano, corre i suoi quaranta minuti di follia, sale sul podio e si fa abbracciare dal bagno di folla. “Alla Red hook di Milano c'erano almeno quattordici mila persone – racconta il faentino – una vera festa di popolo, di quelle che nel ciclismo si ricordavano negli anni della gloria delle due ruote. Non parliamo di arrivi di tappa al Giro d'Italia, ma di circuiti dove corrono persone che al ciclismo ci sono arrivate a trenta, quarant'anni, attraverso altri percorsi, non con il ciclismo tradizionale. Gente che si butta nella mischia, corre e rischia, anche di cadere, di farsi male perché non ha dimestichezza con la bicicletta. Si corre per quaranta minuti, a tutta come si dice in gergo, sembra di stare in una arena, la gente va in delirio”.
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Angelo Gentilini, da info www.ciclismoweb.net