Si
è conclusa l'Assemblea generale della Cgil che si è svolta a
Roma il 7 e 8 settembre. Di seguito l'ordine del giorno sul
referendum costituzionale:
La
Cgil è partita da una discussione tutta di merito delle modifiche
costituzionali, proposte dal Governo, approvate dal Parlamento e che
saranno sottoposte al referendum costituzionale, non
volendo essere rinchiusa in una logica di schieramento o
pregiudiziale. In tal senso andava l'ordine del giorno approvato dal
Direttivo nazionale della Cgil il 24 maggio scorso. In questi mesi, a
partire da quell'ordine del giorno, abbiamo organizzato centinaia di
iniziative di confronto e approfondimento che hanno riscontrato anche
posizioni diverse ma un consenso nei confronti dei giudizi espressi
dalla Cgil. Per la nostra organizzazione, infatti, l’auspicabile
obiettivo di superare il bicameralismo perfetto, che anche la Cgil
richiede da tempo, istituendo una seconda camera rappresentativa
delle Regioni e delle Autonomie locali, e di correggere le criticità
della riforma del 2001, si è tradotto in un'eccessiva
centralizzazione dei poteri allo Stato e al Governo.
Il
nuovo Senato, per composizione e funzioni, avrà difficoltà a
svolgere l'auspicato e necessario ruolo di luogo istituzionale di
coordinamento fra Regioni e Stato,
essenziale a conciliare le esigenze di decentramento con quelle
unitarie. Al Senato, infatti, non è attribuita congrua facoltà
legislativa in tutte le materie che hanno ricadute sulle istituzioni
territoriali e la sua stessa composizione non garantisce l'adeguata
rappresentanza e rappresentatività di Regioni e autonomie. Pur
condividendo l'intenzione di cambiare l'equilibrio dei poteri tra
Regioni e Stato, definito dalla modifica costituzionale del titolo V
nel 2001, l'esito finale è sbagliato: si passa da un eccesso di
materie concorrenti a una riduzione drastica della facoltà
legislativa autonoma delle Regioni.
La
previsione, inoltre, che sia lo Stato a dettare le “disposizioni
generali e comuni” su molte materie cruciali, potrebbe tradursi in
una omologazione normativa,
non necessariamente in positivo, che non lascia spazio a processi di
innovazione e sperimentazione che possono scaturire da un sistema
plurale e che meglio possono rispondere alle esigenze del singolo
territorio.
La
possibilità, poi, per il Governo di attivare una corsia
preferenziale, per i provvedimenti ritenuti essenziali per
l'attuazione del programma,
in assenza di limiti quantitativi e qualitativi (salvo l'esclusione
di alcune materie), attribuisce al Governo un eccesso di potere in
materia legislativa compensato solo parzialmente dall'introduzione di
limitazioni alla decretazione d'urgenza e dalla previsione della
determinazione di “diritti per le minoranze” e di uno “statuto
delle opposizioni”, la cui definizione, però, è rinviata, senza
alcuna certezza, al Regolamento della Camera stessa. Tale eccesso di
potere non trova compensazione nelle disposizioni relative agli altri
livelli istituzionali la cui capacità di incidere nel procedimento
legislativo è limitata, né nella partecipazione diretta dei
cittadini né in quella delle formazioni sociali.
La
semplificazione del procedimento legislativo che si voleva ottenere,
con il superamento del bicameralismo perfetto, è vanificata dalla
moltiplicazione dei procedimenti previsti a seconda della natura del
provvedimento in esame. Una moltiplicazione che richiederà il
consolidamento di una prassi e rischia di rendere lo stesso iter
delle leggi oggetto di contenzioso davanti la Corte costituzionale.
I
nuovi criteri, infine, per l’elezione degli organi di garanzia –
Presidente della Repubblica, giudici della Corte costituzionale di
nomina parlamentare, componenti laici del Csm – rischiano di essere
subordinati alla legge elettorale,
facendo così venir meno la certezza del bilanciamento dei poteri di
cui la Costituzione deve essere garante, con la possibilità di
determinare un restringimento del pluralismo e della rappresentanza
delle minoranze. La Cgil, dunque, valuta la modifica costituzionale
da una parte un’occasione persa per introdurre quei necessari
cambiamenti atti a semplificare, rafforzandole, le istituzioni.
E,
dall’altra, giudica negativamente quanto disposto da tale modifica
perché introduce, senza migliorare la governabilità né il
processo democratico,
un rischio evidente di concentrazione dei poteri e delle decisioni:
dal Parlamento al Governo, dalle Regioni allo Stato centrale. Ferma
restando la libertà di posizioni individuali diverse di iscritti e
dirigenti, trattandosi di questioni costituzionali, dopo questi mesi
di discussione sul merito della riforma, l’Assemblea generale della
Cgil invita a votare “No” in occasione del prossimo referendum
costituzionale.
L’Assemblea
generale impegna tutte le strutture a diffondere queste
valutazioni. La
Cgil e tutte le sue strutture, nel preservare la propria autonomia,
non aderiscono ad alcun comitato e considerano, come sempre,
fondamentale la partecipazione al voto e sono impegnate a promuoverla
e favorirla tra le lavoratrici e i lavoratori, le pensionate e i
pensionati, i giovani e i cittadini tutti.
Angelo Gentilini, da www.rassegna.it