C’è uno spettro che si aggira
confuso attorno al referendum costituzionale ed è quello della
fantomatica «democrazia decidente» o – per i suoi sostenitori più
arcigni – «governante». Si tratta di un’invenzione tutta
italiana, forse di vaghissima ispirazione francese, che non conosce
alcuna traduzione o corrispettivo in altre democrazie europee, che
«decidono» e «governano» senza alcun bisogno di appiccicare
aggettivi impropri al loro sistema politico democratico. È solo
in Italia che questa espressione insignificante e fuorviante ha fatto
strada, grazie al contributo indefesso di costituzionalisti di corte
affetti da «nuovismo» cronico e sempre pronti ad assecondare le
voglie dei potenti di turno, i quali chiedono più spazi per il
(loro) governo e meno impedimenti alle (loro) decisioni. Ma il
costituzionalismo non era nato per limitare, controllare,
controbilanciare il potere di chi ha potere? La domanda è retorica,
ma le risposte sul punto sono quasi sempre balbettanti. Tuttavia,
anche prendendo per buona l’etichetta di «democrazia governante»,
ci sono almeno tre ragioni per cui l’attuale progetto di revisione
costituzionale non ci consegnerà una struttura di governo più
stabile in grado di prendere decisioni più efficienti. La prima
ragione è, per così dire, di contesto. Le democrazie nazionali –
come ha scritto Peter Mair nel suo libro postumo (Ruling the void,
2013) tradotto da Rubbettino – sono destinate, e lo saranno sempre
di più, a «governare il vuoto», a decidere tra alternative che non
esistono, a regnare sul nulla. Ormai, le decisioni che contano e che
incidono sui «margini di manovra» dei governanti nazionali sono
prese altrove, al di fuori del recinto statale, da istituzioni
sovranazionali dove il volere dei cittadini e la sovranità del
popolo arrivano soltanto di riflesso, come un’eco lontana quasi
impercettibile. Chi sognava una democrazia governante ha, dunque,
sbagliato bersaglio e avrebbe fatto meglio a guardare all’Europa,
non all’Italia. La seconda ragione per cui questa fantomatica
democrazia-che-decide è una, neanche troppo pia, illusione è che
alla sua base c’è una diagnosi fallace. Da almeno un ventennio è
sotto i nostri occhi, ma fingiamo di non vederlo: non è il «motore»
(cioè l’impianto istituzionale) ad essersi inceppato, ma è il
pilota, chi sta al posto di comando che non è più in grado di
svolgere adeguatamente il proprio mestiere. Lo dico più chiaramente:
non sono (tanto) le istituzioni che non funzionano, ma sono i partiti
e i loro dirigenti, che avrebbero il compito di guidare il sistema
politico, a non essere all’altezza della loro funzione. Ma, pur di
non ri-formare se stessi, si industriano in ambiziosi progetti
istituzionali destinati a girare perennemente a vuoto: avremo (ci
dicono) un motore più veloce, ma non sapremo dove, come e con chi
andare. E il riformismo dall’alto – si sa – ha sempre fatto
pochissima strada, non solo in Italia. L’ultima ragione della
fallacia della cosiddetta democrazia governante in salsa italiana è
che, pur progettata allo scopo prevalente di prendere decisioni
rapide e «in tempi certi», manca clamorosamente il suo
bersaglio. L’impianto istituzionale che emerge dalle riforme
elettorali e costituzionali ci consegna un senato sgangherato per
composizione e confuso nelle sue funzioni. Il nuovo procedimento
legislativo non sarà più snello, lineare o chiaro, ma dovrà
percorrere un tortuoso iter – distinguendo ogni disegno di legge
per tipologia, per materia e, in certi casi, anche per contenuto
(generale o specifico) – che sarà foriero di numerosi conflitti
inter-istituzionali e non produrrà né più leggi (come chiedono i
«riformatori») né leggi migliori (come vorrebbero gli
italiani). Neanche la nuova legge elettorale, il tanto
sbandierato Italicum, ci aiuterà a costruire una democrazia del buon
governo. Restare immobilizzati in carica per cinque anni, a dispetto
delle prestazioni e delle capacità dei governanti, oltre ad essere
in contrasto con i principi del parlamentarismo, non è affatto
sinonimo di stabilità politica. L’Italicum produrrà una rigidità
istituzionale tipica del presidenzialismo, senza averne importato
pesi e contrappesi. Alla fine, ci troveremo con un governo statico e
stagnante, incapace di prendere buone decisioni, ma inamovibile dal
potere. Cercavano una democrazia governante e ci stanno
propinando una «democrazia sgovernata».
Meglio l’esistente che l’indecente. (Marco Valbruzzi)
Meglio l’esistente che l’indecente. (Marco Valbruzzi)
Angelo Gentilini, da www.eddyburg.it/che-significa-democrazia-governante