Consiglio a tutti gli appassionati di ciclismo, ed anche di
gialli, di leggere il libro: “Delitto Pantani: ultimo chilometro (segreti e
bugie)”, scritto da Andrea Rossini, cronista giudiziario del Corriere Romagna che ha seguito il caso
Pantani dall’inizio, verificando ogni dubbio e dettagli. La tesi sostenuta nel
nuovo libro, che condivido pienamente, è che Marco non è stato vittima di
nessun complotto ciclistico o extra ciclistico. Tutti gli indizi, le analisi,
gli interrogatori e le ispezioni portarono alla conclusione che Marco era morto
di overdose, conclusioni che al tempo furono sottoscritte anche dal consulente
della famiglia Pantani. D'altronde è bene,
e spiacevole, ricordare che l’ex campione nei mesi precedenti al decesso aveva
già rischiato di morire per overdose da cocaina altre quattro volte a
Cesenatico, Saturnia, Miramare di Rimini e a L’Avana (Cuba). Ho passato una
vita nel ciclismo, prima corridore e poi Direttore Sportivo Allenatore, sono stato anche tifoso di Marco, che ho conosciuto
personalmente, come ho conosciuto e conosco diversi suoi ex compagni di
squadra, allenatori, dirigenti, medici e meccanici che lo hanno seguito da juniores,
dilettante e professionista. Tutti
sappiamo che Marco, fin dalle categorie giovanili, era un talentuoso scalatore,
ma tutti onestamente dobbiamo ammettere quanto fossero nebulose quelle stagioni
ciclistiche in cui chi non faceva uso di
certe sostanze, pur essendo un talento, nelle manifestazioni di alto livello “stava dietro”. Purtroppo Marco dopo il fatto del 5
giugno 1999, consumatosi al Giro d’Italia
a Madonna di Campiglio, è stato sottoposto ad uno stress mediatico infernale e si è infilato nelle micidiali strade della cocaina. Comunque ogni scelta e pratica dopante, sportiva o non, resta pur sempre una scelta personale e individuale, con annessi e connessi per altro conosciuti. Io ho sempre pensato
che in quella vicenda gli avrebbe fatto un gran bene avere al fianco una
personalità forte come Luciano Pezzi, che Marco stimava e rispettava e che forse
gli avrebbe consigliato un’ altra via di difesa e rilancio sportivo. Rilancio
sportivo che era nelle sue enormi possibilità atletiche e che poteva metterlo
in pratica nel Tour de France dello stesso anno, perché il regolamento di
allora prevedeva che il ciclista trovato con l’ ematocrito sopra a 50 doveva
rispettare uno semplice stop di 15 giorni e dopo rientrava regolarmente alle
corse . Capisco che l’abbandono da un Giro d’Italia già vinto poteva
infastidire, disturbare e altro, ma queste erano le regole etiche/sportive vigenti nel ciclismo che
tutti i corridori professionisti avevano sottoscritto e che tutti “dall’ultimo gregario al più grande
campione” erano tenuti a rispettare.
Angelo Gentilini