22 novembre 2014

E' ora che Marco riposi in pace.

Consiglio a tutti gli appassionati di ciclismo, ed anche di gialli, di leggere il libro: “Delitto Pantani: ultimo chilometro (segreti e bugie)”, scritto da Andrea Rossini, cronista giudiziario del  Corriere Romagna che ha seguito il caso Pantani dall’inizio, verificando ogni dubbio e dettagli. La tesi sostenuta nel nuovo libro, che condivido pienamente, è che Marco non è stato vittima di nessun complotto ciclistico o extra ciclistico. Tutti gli indizi, le analisi, gli interrogatori e le ispezioni portarono alla conclusione che Marco era morto di overdose, conclusioni che al tempo furono sottoscritte anche dal consulente della famiglia Pantani.  D'altronde è bene, e spiacevole, ricordare che l’ex campione nei mesi precedenti al decesso aveva già rischiato di morire per overdose da cocaina altre quattro volte a Cesenatico, Saturnia, Miramare di Rimini e a L’Avana (Cuba). Ho passato una vita nel ciclismo, prima corridore e poi Direttore Sportivo Allenatore, sono stato anche tifoso di Marco, che ho conosciuto personalmente, come ho conosciuto e conosco diversi suoi ex compagni di squadra, allenatori, dirigenti, medici e meccanici che lo hanno seguito da juniores, dilettante e professionista.  Tutti sappiamo che Marco, fin dalle categorie giovanili, era un talentuoso scalatore, ma tutti onestamente dobbiamo ammettere quanto fossero nebulose quelle stagioni ciclistiche in cui chi non faceva  uso di certe sostanze, pur essendo un talento, nelle manifestazioni  di alto livello “stava  dietro”. Purtroppo Marco dopo il fatto del 5 giugno 1999, consumatosi  al Giro d’Italia a Madonna di Campiglio, è stato sottoposto ad uno stress mediatico infernale e si è infilato nelle micidiali strade della cocaina. Comunque ogni scelta e pratica dopante, sportiva o non, resta pur sempre una scelta personale e individuale, con annessi e connessi per altro conosciuti. Io ho sempre pensato che in quella vicenda gli avrebbe fatto un gran bene avere al fianco una personalità forte come Luciano Pezzi, che Marco stimava e rispettava e che forse gli avrebbe consigliato un’ altra via di difesa e rilancio sportivo. Rilancio sportivo che era nelle sue enormi possibilità atletiche e che poteva metterlo in pratica nel Tour de France dello stesso anno, perché il regolamento di allora prevedeva che il ciclista trovato con l’ ematocrito sopra a 50 doveva rispettare uno semplice stop di 15 giorni e dopo rientrava regolarmente alle corse . Capisco che l’abbandono da un Giro d’Italia già vinto poteva infastidire, disturbare e altro, ma queste erano le regole etiche/sportive vigenti nel ciclismo che tutti i corridori professionisti  avevano sottoscritto e che tutti “dall’ultimo gregario al più grande campione” erano tenuti a rispettare. 
Angelo Gentilini