Sabato 23 maggio 1992 Falcone stava tornando a Palermo, come era solito fare nei fine settimana, da Roma. Il jet di servizio partito dall'aeroporto di Ciampino intorno alle 16:45 arrivò a Punta Raisi dopo un viaggio di 53 minuti. Lo attendevano tre Fiat Croma blindate, con un gruppo di scorta sotto il comando dell'allora capo della squadra mobile di Palermo, Arnaldo La Barbera. Appena sceso dall'aereo, Falcone si sistemò alla guida della Croma bianca e accanto prese posto la moglie Francesca Morvillo, mentre l'autista giudiziario Giuseppe Costanza andò ad occupare il sedile posteriore. Nella Croma marrone c'era alla guida Vito Schifani, con accanto l'agente scelto Antonio Montinaro e sul retro Rocco Dicillo, mentre nella vettura azzurra c’erano Paolo Capuzzo, Gaspare Cervello e Angelo Corbo. In testa al gruppo c’era la Croma marrone, poi la Croma bianca guidata da Falcone, e in coda la Croma azzurra. Alcune telefonate avvisarono i sicari che avevano sistemato l'esplosivo per la strage della partenza delle vetture. Le auto lasciarono l'aeroporto imboccando l'autostrada in direzione Palermo. La situazione pareva tranquilla, tanto che non vennero attivate neppure le sirene. Su una strada parallela, una macchina guidata da Gioacchino La Barbera si affiancò alle tre Croma blindate, per darne segnalazione ai killer in agguato sulle alture sovrastanti il litorale; furono gli ultimi secondi prima della strage. Otto minuti dopo, alle ore 17:58, una carica di cinque quintali di tritolo posizionata in una galleria scavata sotto la sede stradale nei pressi dello svincolo di Capaci - Isola delle Femmine venne azionata per telecomando da Giovanni Brusca, il sicario incaricato da Totò Riina. Pochissimi istanti prima della detonazione, Falcone si era accorto che le chiavi di casa erano nel mazzo assieme alle chiavi della macchina, e le aveva tolte dal cruscotto, provocando un rallentamento improvviso del mezzo. Brusca, rimasto spiazzato, premette il pulsante in anticipo, sicché l'esplosione investì in pieno solo la Croma marrone, prima auto del gruppo, scaraventandone i resti oltre la carreggiata opposta di marcia, e su fino ad una zona pianeggiante alberata; i tre agenti di scorta morirono sul colpo. La seconda auto, la Croma bianca guidata dal giudice, avendo rallentato, si schiantò invece contro il muro di cemento e detriti improvvisamente innalzatosi per via dello scoppio. Falcone e la moglie, che non indossavano le cinture di sicurezza, venero proiettati violentemente contro il parabrezza. Rimasero feriti gli agenti della terza auto, la Croma azzurra, che infine resistette, e si salvarono miracolosamente anche un'altra ventina di persone che al momento dell'attentato si trovavano a transitare con le proprie autovetture sul luogo dell'eccidio. L'Italia intera, sgomenta, trattenne il fiato per la sorte delle vittime con tensione sempre più viva e contrastante, sicché alle 19:05, ad un'ora e sette minuti dall'attentato, Giovanni Falcone morì dopo alcuni disperati tentativi di rianimazione, a causa della gravità del trauma cranico e delle lesioni interne. Intorno alle 22.00 morì anche Francesca Morvillo.
Palermo, 25 maggio 1992, Chiesa di San Domenico, si tennero i funerali delle vittime:
«Io, Rosaria Costa, vedova dell'agente Vito Schifani -- Vito mio -- battezzata nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, a nome di tutti coloro che hanno dato la vita per lo Stato -- lo Stato... -- chiedo innanzitutto che venga fatta giustizia, adesso. Rivolgendomi agli uomini della mafia, perché ci sono qua dentro (e non), ma certamente non cristiani, sappiate che anche per voi c'è possibilità di perdono: io vi perdono, però vi dovete mettere in ginocchio, però, se avete il coraggio... di cambiare... loro non cambiano ... se avete il coraggio... di cambiare, di cambiare, loro non vogliono cambiare loro...di cambiare radicalmente i vostri progetti, progetti mortali che avete. Tornate a essere cristiani. Per questo preghiamo nel nome del Signore che ha detto sulla croce: "Padre perdona loro perché loro non lo sanno quello che fanno". Pertanto vi chiediamo per la nostra città di Palermo che avete reso questa città sangue, città di sangue... Vi chiediamo per la città di Palermo, Signore, che avete reso città di sangue -- troppo sangue -- di operare anche voi per la pace, la giustizia, la speranza e l'amore per tutti. Non c'è amore, non ce n'è amore, non c'è amore per niente.»
«Io, Rosaria Costa, vedova dell'agente Vito Schifani -- Vito mio -- battezzata nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, a nome di tutti coloro che hanno dato la vita per lo Stato -- lo Stato... -- chiedo innanzitutto che venga fatta giustizia, adesso. Rivolgendomi agli uomini della mafia, perché ci sono qua dentro (e non), ma certamente non cristiani, sappiate che anche per voi c'è possibilità di perdono: io vi perdono, però vi dovete mettere in ginocchio, però, se avete il coraggio... di cambiare... loro non cambiano ... se avete il coraggio... di cambiare, di cambiare, loro non vogliono cambiare loro...di cambiare radicalmente i vostri progetti, progetti mortali che avete. Tornate a essere cristiani. Per questo preghiamo nel nome del Signore che ha detto sulla croce: "Padre perdona loro perché loro non lo sanno quello che fanno". Pertanto vi chiediamo per la nostra città di Palermo che avete reso questa città sangue, città di sangue... Vi chiediamo per la città di Palermo, Signore, che avete reso città di sangue -- troppo sangue -- di operare anche voi per la pace, la giustizia, la speranza e l'amore per tutti. Non c'è amore, non ce n'è amore, non c'è amore per niente.»
Angelo Gentilini, da info www.wikimafia.it/Giovanni Falcone