Mobbing: l’etimologia attribuisce l’invenzione del termine al grande etologo Konrad Lorenz. Lotte intestine tra animali, per una selezione non naturale e invece spietata.
Sappiamo bene a cosa la parola inglese si riferisce: quella pressione sottile e crudelissima che emargina nei luoghi di lavoro qualcuno, nel tentativo (spesso riuscito) di farlo far fuori “da sé”, costringendolo cioè a prendere l’iniziativa di andarsene.
Il mobbing colpisce di norma le teste più pensanti nell’organigramma di qualsiasi luogo di lavoro. Si vuole eliminare le persone più fuori dagli schemi, di norma quelle troppo intelligenti. Bisognerebbe parlarne di più, e scrivere romanzi e girare film sul mobbing. Perché è non solo una pratica diffusissima, in continuo aumento. Anche un terreno psicologico dove le leggi più ingiuste trovano geometrica applicazione.
Lascia mortificati, storditi, a volte gravemente depressi l’essere o esser stati oggetto di mobbing. Ma non tutti hanno voglia di parlarne. Giorni fa invece ho incontrato una donna che la sua storia di espulsione dal lavoro me l’ha raccontata lungamente, nei dettagli. Dolorosissima, incancellabile. Avvocati e psichiatri si sono occupati di lei, forse per questo ha la forza di raccontarsi senza vergogna.
Ma quanti conoscono ogni giorno il mobbing e provano timore nel confessarlo, lasciando che l’amarezza e la frustrazione proliferino dentro con effetti pesantissimi per lo spirito, per la propria vita tutta?
di Lisa Ginzburg dal Messaggero