All’eccidio di Modena del 9 gennaio 1950, al “lunedi di
sangue”, seguirono degli scioperi generali e delle manifestazioni gigantesche, in Emilia Romagna
e in tutta l’Italia. Il 12 gennaio si
svolsero i funerali, solenni e imponenti, a cui parteciparono oltre 300 mila
lavoratori, lavoratrici e cittadini. In un documento che fu sottoscritto da 210
deputati e senatori, comunisti e socialisti, venne lanciato il monito al
governo democristiano, e al ministro Mario Scelba, a non continuare più
l’incivile sistema della repressione e degli eccidi contro le lotte per la
“richiesta più umile che l’uomo possa avanzare: la richiesta di lavorare”.
L’espressione più alta di questa protesta è contenuta nel discorso che
pronunciò l’allora segretario nazionale del Pci Palmiro Togliatti, presente ai
funerali e ritratto nella foto dell’epoca con Erasmo Silvestri, segretario
della federazione del Pci di Modena. Di fronte alle bare dei lavoratori uccisi,
disse: “Voi chiedevate una sola cosa, il lavoro, che è la sostanza della vita
di tutti gli uomini degni di questo nome. Una società che non sa dare lavoro a
tutti coloro che la compongono, è una società maledetta. Maledetti sono gli
uomini che, fieri di avere nelle mani il potere, si assidono al vertice di
questa società maledetta…”. Poi, ammonì solennemente: “E’ stato detto che questo
stato di cose deve finire. E’ stato detto: Basta! Ripetiamo questo basta, tutti
assieme, dando ad esso la solennità e la forza che promanano da questa stessa
nostra riunione. Ma dire basta non è sufficiente… Ci impegniamo a preparare e
suscitare un movimento tale, un sussulto proveniente dal più profondo
dell’animo nazionale , tale che faccia indietreggiare anche i gruppi più
reazionari, come è già avvenuto, del resto, nel passato”. E poi concludendo tra
la commozione e la rabbia generale della folla, disse ancora: “E voi, compagni
e fratelli caduti…riposate!...Ma voi, madri, sorelle, spose, non piangete! Non
piangiamo, lavoratori di Modena. Sia l’acre sapore delle lacrime, per non
piangere, inghiottito, stimolo aspro al lavoro nuovo, alla lotta. Dobbiamo fare
uscire l’Italia da questa situazione dolorosa. Vogliamo che l’Italia diventi un
paese civile, dove sia sacra la vita dei lavoratori, dove sacro sia il diritto
dei cittadini al lavoro, alla libertà, alla pace!”. La determinazione nella
protesta venne riconfermata con gran forza dopo 30 giorni dall’eccidio, il 9
febbraio 1950 la Cgil proclamò una giornata di lutto nazionale e in tantissime
città si svolsero delle importanti e significative manifestazioni di
lavoratori, lavoratrici e cittadini giovani e meno giovani. Il 26 novembre 1952, a
Napoli si aprì il 3° Congresso nazionale della Cgil, nelle intense giornate
congressuali venne proposto, calorosamente sostenuto da Giuseppe Di Vittorio,
come misura urgente uno: “Statuto dei diritti e delle libertà del cittadino
lavoratore nell’azienda”, per la tutela delle libertà democratiche e sindacali
nei posti di lavoro. Purtroppo, come ben sappiamo, ci vollero altri 18 anni di
durissime lotte, sostenute dai lavoratori sindacalizzati e dalla sinistra
italiana, per arrivare al 20 maggio 1970, data in cui venne finalmente
promulgato in Italia lo “Statuto dei diritti dei lavoratori”. Che ora si cerca
di depotenziare e di ridurre a poca cosa invece di estenderlo anche a chi non
era contemplato, non per responsabilità dei sindacati, ma di una classe
politica miope e strumentalmente debole con i forti che ci riporta indietro di
70 anni.
Angelo Gentilini, da "La Costituzione negata nelle fabbriche" di Luigi Arbizzani.