Nel 1947, a seguito dell’accettazione del Piano Marshall da parte del leader DC Alcide De Gasperi, si aprì una
grave crisi politica con il programma di esclusione dal Governo dei partiti di
sinistra Pci e Psi. Nel 1948
la DC vinse le elezioni e la storia del nostro Paese prese un nuovo corso
politico, economico e sociale. Lo Stato volle recuperare il controllo di tutte
le realtà produttive ed economiche che dopo la guerra erano state rilanciate,
con molti sacrifici, da ex-partigiani e ex-dipendenti delle fabbriche
distrutte. Iniziò il periodo della “guerra fredda” e vennero usate strategie e
metodi esplicitamente discriminatori, rompendo anche lo spirito di unità
nazionale che si era venuto a creare con la Resistenza e la Liberazione. E cosi dalla fine degli anni 50 e negli anni
60 in Italia furono licenziati "senza giusta causa" 480.000 lavoratori e
lavoratrici, colpevoli di essere iscritti ai partiti di sinistra (Pci e Psi) e
alla Cgil e di lottare per la difesa dei loro diritti. Nella provincia di
Bologna i licenziati "senza giusta causa" furono circa 8.300, soprattutto
metalmeccanici. La discriminazione politica e sindacale non si praticava solo licenziando, ma anche
attraverso un selezionato demansionamento, spostando di reparto in reparto e facendo fare ai lavoratori scomodi dei
lavori dequalificanti. Protagonista suo malgrado di quel periodo anche la Cogne
di Imola, l’azienda che è stata l’artefice dello sviluppo economico e sociale
del territorio imolese. Iniziarono nel 1949 allontanando da Imola Carlo Nicoli, Direttore di stabilimento ed ex-comandante
partigiano comunista, insieme ad altri quattro fidati progettisti imolesi
(Federici, Calderoni, Borghi, Mirri), la stessa sorte toccò anche ad Ester
Benini, Responsabile amministrativo, pure lui di sinistra. Nel 1951 licenziarono un altro lavoratore di sinistra il Perito Guido
Albertazzi, Capo del collaudo e Presidente del Consiglio di Gestione Cogne (era un organo deliberativo e di controllo composto da rappresentanti dei lavoratori e del capitale). Il 30 marzo 1952, 19 impiegati ricevettero la
lettera di licenziamento e per molti operai specializzati iniziò, come in altre
realtà, un umiliante percorso aziendale di demansionamento e dequalificazione. Nella
Città di Imola aumentò la tensione ed iniziò uno dei periodi più acuti della
lotta politica e divisioni sindacali, ma la Direzione aziendale, forte delle
direttive politiche nazionali e con il sostegno dei sindacati filo-governativi,
contrattaccò licenziando il 7 ottobre 1953 "senza giusta causa" 162 lavoratori e lavoratrici, ex partigiani, militanti del Pci e Psi locali ed iscritti alla Cgil. Mentre in Germania dal 1951
esisteva la tutela contro i licenziamenti discriminatori e ingiusti per chi lavorava da oltre
6 mesi in una azienda con più di 10 dipendenti, in Italia ci vollero ancora tanti anni e tante durissime lotte, scioperi
e manifestazioni. Finalmente il 15 luglio 1966 fu emanata la prima legge italiana (n°604) sui licenziamenti individuali, che però non prevedeva la reintegra ma solo un indennizzo economico, anche se il licenziamento era riconosciuto ingiustificato. Seguirono anni dove gli operai e gli studenti sostennero altre dure lotte sindacali che si intensificarono nel 1968/69 con il così detto "autunno caldo". Anche ad Imola si lottò molto, specialmente i lavoratori e lavoratrici Cogne che sostennero 120 ore di sciopero nel 1968, e 80 ore nel 1969, compreso il famoso "sciopero della tenda" a presidio permanente del ponte per entrare nella fabbrica. Si arrivò fino al 20 maggio 1970, data in cui entrò in vigore lo
Statuto dei Lavoratori (legge n°300), recante “norme sulla tutela della libertà e dignità dei
lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività nei luoghi di lavoro e
norme sul collocamento”. L' Art. 18 era compreso nello Statuto dei Lavoratori e migliorava la precedente legge, prevedendo nel caso di licenziamento ingiustificato la reintegra. In pratica si sancirono dei diritti e principi scritti 23 anni prima (1947) nella
Costituzione della Repubblica Italiana. Ora siamo nel 2014 e da circa 7 anni il Paese è colpito da una pesante e drammatica crisi strutturale, ma purtroppo si deve assistere alla ripetizione a rovescio della storia, perché nel Jobs Act di Renzi e company praticamente si è depotenziato l'art.18 facilitando i licenziamenti, si legalizza il demansionamento e si inserisce il controllo visivo a distanza. Ed ancora manca l'universalità delle tutele e degli ammortizzatori, e non si riducono le 46 tipologie contrattuali e tutte le forme di lavoro precario. Inoltre nonostante il costante aumento della disoccupazione (13,2% totale e 43,3% giovani) il Governo e i partiti che lo sostengono non hanno in agenda la necessaria revisione della deleteria legge Fornero sulle pensioni, come non stanno pensando ad un piano nazionale per la creazione di nuovo lavoro e al sostegno di modalità più redistributive del lavoro esistente.
Link per leggere....il-jobs-act-una-pericolosa-riforma-di-destra...di Luciano Gallino
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Angelo Gentilini