La dura crisi che stiamo vivendo porta a considerare, anche
con contesti diversi, che i metodi usati dai poteri forti, gira e rigira, sono
sempre gli stessi. Diversi anni fa, un Dirigente mi confidò che conosceva molto
bene i volumi del Capitale di Marx e che li riteneva una tra le miglior
analisi prodotte sul mondo del lavoro e
sui processi economici- produttivi. Inoltre mi disse: “Il nostro vantaggio sta nel fatto che tanti operai non hanno
queste conoscenze, diversamente come si poteva riuscire nell’affermazione del
trasformismo, che consiste nel far credere che le classi sociali non esistono
più, quando nella realtà le disuguaglianze sono aumentate in maniera
sproporzionata?”. Ripercorso questo breve, ma significativo, ricordo di vita
personale, vado a rivedere un concetto espresso nel Capitale, che è una buona
base di riflessione. “L’esercito
industriale di riserva”, è un concetto molto importante che Marx sviluppò
nella sua opera e usò volutamente una definizione militare, perché questo
“esercito”, costituito dai disoccupati, era un arma nelle mani dei capitalisti.
Secondo Marx i capitalisti sono costretti dalla concorrenza ad aumentare la
produttività, ossia a diminuire il costo delle merci sul mercato. Per farlo devono
modificare il modo in cui è composto il capitale, aumentando la quota che
deriva dai macchinari e materie prime, “capitale costante”, e diminuendo l’uso
degli operai, “capitale variabile”. Ma i capitalisti ricavano il loro
“plusvalore” di profitto dal lavoro operaio che riescono a sfruttare, con
incidenze diverse tra i vari settori più o meno meccanizzati, automatizzati,
robotizzati. Per risolvere questo problema e abbassare il costo variabile,
diventa essenziale la presenza di un gran numero di disoccupati, che alimentano
la concorrenza tra gli operai garantendo un basso livello dei salari e una
insita debolezza nella classe operaia. Infatti la disoccupazione porta alla
povertà, alla disperazione e talvolta all’accettazione di qualsiasi lavoro a
salario inferiore e (vedi precari) a moderare le richieste rivendicative per
paura di perdere il posto. Nelle sue analisi Marx ribadiva che “l’esercito
industriale di riserva”, era un prezioso rimedio usato per superare tanti problemi
del mondo del lavoro, ma considerava questo metodo una debolezza del
capitalismo, definendolo: “La caduta tendenziale del saggio di profitto”. Con
convinzione sottoscrivo che la storia insegna, la storia si ripete, in Italia
più che da altre parti. Da anni si sono compressi i salari e le relative
pensioni a favore della finanza e capitali, ed in tempo di crisi, invece di
unire, si è lavorato per dividere con gli accordi separati indebolendo i diritti,
le tutele, la democrazia e sponsorizzando la cultura individualista, quale rimedio
di tutti i mali. Nonostante la crescente disoccupazione è stata alzata l’età
pensionabile, si è detassato lo straordinario e la produttività, favorendo le
aziende e chi il lavoro c’è l’ha, mentre negli altri paesi europei che vanno
meglio, hanno abbassato l’età pensionabile, alzato il costo dello straordinario
e ridotti gli orari di lavoro, in coerenza con una suddivisione più equa della
ricchezza e del lavoro. Sempre in Italia abbiamo assistito, anche grazie all’assordante
silenzio/assenso della politica, a delle insensate e speculative delocalizzazioni, che trattano
il lavoro come una merce e non un valore sociale. Inoltre, sempre in tempo di
crisi, si è appositamente indebolito il sistema dei controlli e la lotta contro
la speculazione macro e micro economica, la corruzione, l’elusione, l’evasione,
il riciclaggio, il rispetto delle regole e delle leggi. In conclusione per
tutelarsi di più sarebbe bene che i lavoratori e lavoratrici conoscessero
meglio la storia dei processi di cui sono parte integrante, perché
diversamente, come da anni succede, la storia la vengono a conoscere direttamente sulla
propria pelle e tasche, quando ormai è tardi, troppo tardi.
Angelo Gentilini