11 ottobre 2012
Ok reintegro Capozzi...Fiat arrenditi
Fiat, il tribunale conferma il reintegro di Capozzi.
La Fiom-Cgil rende noto che questa mattina, giovedì 11 ottobre, è stata depositata la sentenza con la quale viene riconfermato il reintegro di Pino Capozzi al suo posto di lavoro. Pino Capozzi era stato licenziato nel luglio 2010 per aver diffuso un volantino sindacale tramite la posta elettronica aziendale; il suo reintegro era già stato disposto a ottobre dello stesso anno (e confermato in appello a gennaio del 2012) in seguito a una causa per attività anti-sindacale promossa dalla Fiom-Cgil. La sentenza di oggi si riferisce alla causa individuale intentata dal lavoratore e conferma quanto stabilito dalle altre corti.
Federico Bellono, segretario provinciale della Fiom-Cgil, dichiara: «Esprimiamo soddisfazione per l'ulteriore pronunciamento a favore di Pino Capozzi, che conferma l'assoluta mancanza di ragioni alla base del licenziamento: viene in questo modo smontato ancora una volta il tentativo di descrivere la Fiat come un'azienda preda di una conflittualità permanente e di un estremismo ideologico da parte della Fiom-Cgil che non sono mai esistiti. Al ritorno alla normalità per Capozzi spero si accompagni un ritorno alla normalità nelle relazioni sindacali e nella possibilità per la Fiom-Cgil di svolgere attività sindacale all'interno dell'azienda».
Elena Poli, avvocato, dichiara: «La Fiat dovrebbe arrendersi all'evidenza del fatto che non si possono mettere in atto comportamenti ritorsivi nei confronti della libertà di espressione dei lavoratori».
Ufficio stampa Fiom Nazionale
10 ottobre 2012
L'Italia dice si alla Tobin Tax
Grazie ai lettori de l'Unità
Il sì del governo Monti alla tassa sulle transazioni finanziarie è una scelta che fa onore all'Italia e ne rafforza il suo profilo europeista.
E' per noi de l'Unità un motivo di grande soddisfazione. Una vittoria.
La Tobin Tax europea è un primo segnale per colpire la speculazione finanziaria, per liberare risorse a favore della crescita e dello sviluppo, per restituire alla politica, così a lungo umiliata e sottomessa, l'ambizione di riportare equità dove oggi c'è solo aumento delle diseguaglianze. Non è stata una scelta facile. Nel governo e ancor più nel centrodestra c'erano resistenze. Solo pochi giorni un fondo del Corriere della Sera definiva la nostra campagna per la Tobin Tax europea un "astruso pretesto" per attaccare Monti. Invece il presidente del Consiglio ha dato la risposta più limpida: anche senza il consenso della Gran Bretagna e di altri Paesi dell'Unione, la Tobin Tax può partire come cooperazione rafforzata tra 11 Paesi dell'area euro. Come hanno proposto formalmente Merkel e Hollande.
Un grande ringraziamento va ai nostri lettori, alle oltre 12 mila persone che hanno firmato on-line il nostro appello al governo. Penso che non avremmo vinto la battaglia senza questa mobilitazione. E' sempre vero che la buon politica si fa insieme, e non con i leader solitari.
Claudio Sardo Direttore dell'Unità
08 ottobre 2012
Invito a firmare
TASSIAMO GLI SPECULATORI: FIRMA L'APPELLO
Il 18 e il 19 ottobre i capi di Stato e di governo della Ue discuteranno, nel Consiglio europeo convocato a Bruxelles, l'istituzione della Tassa sulle transazioni finanziarie (Ttf): un'imposta dello 0,1% da applicare sugli acquisti e le vendite degli strumenti finanziari di carattere speculativo e dello 0,01% da applicare sui cosiddetti derivati, "colpevoli" come si sa di gravissime distorsioni sui mercati. Si tratta di quella che è stata chiamata la "Tobin tax europea", sulla quale si discute da anni senza che si sia potuti arrivare a una conclusione a causa delle opposizioni di alcuni Paesi dell'Unione, capitanati dal Regno Unito. Eppure, più di un anno fa il Parlamento europeo, con una iniziativa partita dal gruppo dei Socialisti e Democratici, ha votato l'istituzione dell'imposta e diversi parlamenti nazionali, tra cui quello italiano, hanno discusso in varie forme la proposta: ma il mancato consenso nelle istituzioni comunitarie ha fin qui impedito di raggiungere il risultato.Il valore economico dell'iniziativa è evidente. L'imposta, secondo i calcoli del Parlamento europeo, frutterebbe circa 60 miliardi di euro l'anno: una formidabile boccata di ossigeno per le esauste casse comunitarie che, per una volta, non verrebbero finanziate ricorrendo a tagli e sacrifici nei Paesi dell'Unione ma facendo pagare una minima parte del dovuto alle istituzioni finanziarie, le quali sono spesso le responsabili delle difficoltà di bilancio che assillano l'Europa. Sarebbe, quindi, un primo segnale importante della volontà e della capacità della politica europea di regolamentare i mercati finanziari. Ma sarebbe anche un chiaro segnale in controtendenza, in un tempo in cui le scelte economiche dei governi e delle grandi tecnostrutture internazionali tendono a scavalcare o a ignorare tout court i poteri delle rappresentanze democratiche e degli stessi parlamenti nazionali.
In vista del Consiglio europeo, il presidente francese François Hollande e la cancelliera tedesca Angela Merkel hanno preso un'iniziativa volta a sbloccare l'impasse. In una lettera ai loro colleghi, hanno proposto che, in mancanza di un accordo generale, si proceda all'approvazione della Ttf con il metodo della cooperazione rafforzata, un istituto comunitario previsto dai Trattati che permette ai Paesi che lo vogliono di procedere, purchè siano più di nove all'interno dei ventisette dell'Unione, anche senza l'intesa di quelli contrari.
Rivolgiamo un appello al governo italiano perchè faccia propria l'iniziativa dei leader francese e tedesco aderendo al gruppo di Paesi che ricorrerebbe alla cooperazione rafforzata e perchè, intanto, al Consiglio europeo del 18 e 19 ottobre il presidente Monti ponga fine alle incertezze, ai dubbi e alle opposizioni striscianti che non mancano in Italia, chiarendo che il nostro Paese è favorevole all'istituzione dell'imposta sulle transazioni finanziarie.
FIRMA L'APPELLO SU: http://www.unita.it/firme/tassiamo_gli_speculatori/
Il 18 e il 19 ottobre i capi di Stato e di governo della Ue discuteranno, nel Consiglio europeo convocato a Bruxelles, l'istituzione della Tassa sulle transazioni finanziarie (Ttf): un'imposta dello 0,1% da applicare sugli acquisti e le vendite degli strumenti finanziari di carattere speculativo e dello 0,01% da applicare sui cosiddetti derivati, "colpevoli" come si sa di gravissime distorsioni sui mercati. Si tratta di quella che è stata chiamata la "Tobin tax europea", sulla quale si discute da anni senza che si sia potuti arrivare a una conclusione a causa delle opposizioni di alcuni Paesi dell'Unione, capitanati dal Regno Unito. Eppure, più di un anno fa il Parlamento europeo, con una iniziativa partita dal gruppo dei Socialisti e Democratici, ha votato l'istituzione dell'imposta e diversi parlamenti nazionali, tra cui quello italiano, hanno discusso in varie forme la proposta: ma il mancato consenso nelle istituzioni comunitarie ha fin qui impedito di raggiungere il risultato.Il valore economico dell'iniziativa è evidente. L'imposta, secondo i calcoli del Parlamento europeo, frutterebbe circa 60 miliardi di euro l'anno: una formidabile boccata di ossigeno per le esauste casse comunitarie che, per una volta, non verrebbero finanziate ricorrendo a tagli e sacrifici nei Paesi dell'Unione ma facendo pagare una minima parte del dovuto alle istituzioni finanziarie, le quali sono spesso le responsabili delle difficoltà di bilancio che assillano l'Europa. Sarebbe, quindi, un primo segnale importante della volontà e della capacità della politica europea di regolamentare i mercati finanziari. Ma sarebbe anche un chiaro segnale in controtendenza, in un tempo in cui le scelte economiche dei governi e delle grandi tecnostrutture internazionali tendono a scavalcare o a ignorare tout court i poteri delle rappresentanze democratiche e degli stessi parlamenti nazionali.
In vista del Consiglio europeo, il presidente francese François Hollande e la cancelliera tedesca Angela Merkel hanno preso un'iniziativa volta a sbloccare l'impasse. In una lettera ai loro colleghi, hanno proposto che, in mancanza di un accordo generale, si proceda all'approvazione della Ttf con il metodo della cooperazione rafforzata, un istituto comunitario previsto dai Trattati che permette ai Paesi che lo vogliono di procedere, purchè siano più di nove all'interno dei ventisette dell'Unione, anche senza l'intesa di quelli contrari.
Rivolgiamo un appello al governo italiano perchè faccia propria l'iniziativa dei leader francese e tedesco aderendo al gruppo di Paesi che ricorrerebbe alla cooperazione rafforzata e perchè, intanto, al Consiglio europeo del 18 e 19 ottobre il presidente Monti ponga fine alle incertezze, ai dubbi e alle opposizioni striscianti che non mancano in Italia, chiarendo che il nostro Paese è favorevole all'istituzione dell'imposta sulle transazioni finanziarie.
FIRMA L'APPELLO SU: http://www.unita.it/firme/tassiamo_gli_speculatori/
03 ottobre 2012
Quale produttività...parte seconda
Il pezzo "Quale produttività?" lo avevo inviato a varie testate giornalistiche locali e territoriali, che lo hanno pubblicato nella parte "Lettere". Il Direttore di una di queste testate ha risposto in allegato al mio scritto sollevando alcuni interrogativi. Per primo, sul lavorare meno per lavorare tutti, lo ritiene un concetto incompleto perchè manca la parte salario inerente alla riduzione di orario. Per secondo, dopo una ampia descrizione tecnica sula validità dei Contratti di Solidarietà, che è una tipologia di ammortizzatore sociale per tutelare l'occupazione a fronte di crisi aziendali, chiede cosa succederà allo loro scadenza se le eccedenze di personale saranno confermate. Ho risposto allo stesso Direttore ampliando i ragionamenti, per altro già chiari nel primo pezzo, per evidenziare le possibili oppurtunità se ci fosse una reale azione riformista, che ritengo necessaria. Incollo sotto la risposta.Angelo Gentilini
Egregio direttore, La ringrazio di aver trovato degli elementi per rispondere in allegato alla mia precedente lettera inviataLe, che parlava di competitività, produttività, lavoro. I quesiti da Lei sollevati trovavano gia la risposta nel mio scritto e sono osservazioni frutto di un pensiero verticale e legato agli strumenti e ammortizzatori sociali vigenti in Italia, che per altro questo Governo ha indebolito. Io cerco di ragionare in modo orizzontale e con una prospettiva realmente riformista a sostegno del nostro futuro. E’ ovvio che il problema dell’orario di lavoro e del salario non può essere giocato solo sull’asse azienda-lavoratore, perché come già spiegavo in Italia il costo del lavoro e la tassazione del profitto commerciale è il più alto tra i Paesi dell’Ocse. Va rivisto e reiquilibrato tutto il sistema Italia e da li possono arrivare innumerevoli risorse. Detto questo voglio far notare che nel 2008/09 alla Volkswagen, in Germania, per superare la crisi erano scesi alla media di 27 ore settimanali, con la sola perdita dello 0,5% dello stipendio, il resto coperto da aziende e dallo Stato. Inoltre sempre i metalmeccanici tedeschi, a fronte di un orario medio settimanale di 35 ore, hanno stipendi che vanno da 2.300 a 3.000 euro, cioè il doppio degli italiani che lavorano in media 37,5 ore a settimana. Faccio anche notare che da anni i lavoratori italiani si sono visti decurtare lo stipendio, a fine anni 70 nelle buste paghe dei lavoratori dipendenti andava redistribuito il 74% del Pil e il debito pubblico era al 60%, ora nelle buste paghe dei lavoratori dipendenti va solo il 45% del Pil e nonostante ciò il debito pubblico è arrivato al 123%. E allora chi ha fatto il buco? Chi è responsabile del disastro finanziario italiano? E ancora l’Istat afferma che gli aumenti contrattuali sono fermi al 1,8% e non si recupera l’inflazione che è al 3,3%; mentre si sa anche che sono lievitati i compensi dei Dirigenti, Manager e super Manager, nel migliore dei casi dal 10% in su. E’ un problema o no se in Italia in tempo di crisi le 600.000 famiglie più ricche del Paese hanno raddoppiato attraverso la speculazione finanziaria il loro potere economico, chiudendo anche degli stabilimenti e aziende? La mancata redistribuzione della ricchezza sta impoverendo sempre più strati sociali e arricchendo a dismisura alcune fascie di cittadini, e dal momento che il mercato italiano è all’80% legato alla domanda interna e solo il 20% all’export è evidente che se si persevera su questa linea, tra l’altro la trovo in tanti casi anche un tantino anticostituzionale, si aumenta lo stato di recessione economica. Questi sono problemi troppi seri ed importanti per tutti noi ed occorre conoscenza, chiarezza, onestà ed indipendenza politica-culturale, dobbiamo uscire tutti dagli steccati in cui viviamo e portare le nostre menti e i nostri cuori oltre quegli steccati per ripensare in modo collettivo e per il bene comune. Infine ritengo positivo rilanciare il dibattito su queste tematiche e penso sia compito primario della politica risolvere e dipanare le matasse e parlo della buona politica, perché la cattiva ci ha portato a tanto. Con stima e affetto, buon lavoro Sig.Direttore….
dal lettore Angelo Gentilini
Egregio direttore, La ringrazio di aver trovato degli elementi per rispondere in allegato alla mia precedente lettera inviataLe, che parlava di competitività, produttività, lavoro. I quesiti da Lei sollevati trovavano gia la risposta nel mio scritto e sono osservazioni frutto di un pensiero verticale e legato agli strumenti e ammortizzatori sociali vigenti in Italia, che per altro questo Governo ha indebolito. Io cerco di ragionare in modo orizzontale e con una prospettiva realmente riformista a sostegno del nostro futuro. E’ ovvio che il problema dell’orario di lavoro e del salario non può essere giocato solo sull’asse azienda-lavoratore, perché come già spiegavo in Italia il costo del lavoro e la tassazione del profitto commerciale è il più alto tra i Paesi dell’Ocse. Va rivisto e reiquilibrato tutto il sistema Italia e da li possono arrivare innumerevoli risorse. Detto questo voglio far notare che nel 2008/09 alla Volkswagen, in Germania, per superare la crisi erano scesi alla media di 27 ore settimanali, con la sola perdita dello 0,5% dello stipendio, il resto coperto da aziende e dallo Stato. Inoltre sempre i metalmeccanici tedeschi, a fronte di un orario medio settimanale di 35 ore, hanno stipendi che vanno da 2.300 a 3.000 euro, cioè il doppio degli italiani che lavorano in media 37,5 ore a settimana. Faccio anche notare che da anni i lavoratori italiani si sono visti decurtare lo stipendio, a fine anni 70 nelle buste paghe dei lavoratori dipendenti andava redistribuito il 74% del Pil e il debito pubblico era al 60%, ora nelle buste paghe dei lavoratori dipendenti va solo il 45% del Pil e nonostante ciò il debito pubblico è arrivato al 123%. E allora chi ha fatto il buco? Chi è responsabile del disastro finanziario italiano? E ancora l’Istat afferma che gli aumenti contrattuali sono fermi al 1,8% e non si recupera l’inflazione che è al 3,3%; mentre si sa anche che sono lievitati i compensi dei Dirigenti, Manager e super Manager, nel migliore dei casi dal 10% in su. E’ un problema o no se in Italia in tempo di crisi le 600.000 famiglie più ricche del Paese hanno raddoppiato attraverso la speculazione finanziaria il loro potere economico, chiudendo anche degli stabilimenti e aziende? La mancata redistribuzione della ricchezza sta impoverendo sempre più strati sociali e arricchendo a dismisura alcune fascie di cittadini, e dal momento che il mercato italiano è all’80% legato alla domanda interna e solo il 20% all’export è evidente che se si persevera su questa linea, tra l’altro la trovo in tanti casi anche un tantino anticostituzionale, si aumenta lo stato di recessione economica. Questi sono problemi troppi seri ed importanti per tutti noi ed occorre conoscenza, chiarezza, onestà ed indipendenza politica-culturale, dobbiamo uscire tutti dagli steccati in cui viviamo e portare le nostre menti e i nostri cuori oltre quegli steccati per ripensare in modo collettivo e per il bene comune. Infine ritengo positivo rilanciare il dibattito su queste tematiche e penso sia compito primario della politica risolvere e dipanare le matasse e parlo della buona politica, perché la cattiva ci ha portato a tanto. Con stima e affetto, buon lavoro Sig.Direttore….
dal lettore Angelo Gentilini
01 ottobre 2012
Terremoto e Ricostruzione
La Cgil Emilia Romagna apprezza l’ordinanza del Commissario Errani sulle norme per le imprese edili. Il 25 Settembre il Commissario Errani ha emanato l’ordinanza 46 che contiene importanti norme per le imprese che opereranno nella fase di ricostruzione, sia nei lavori pubblici quanto in quelli privati.
L’ordinanza impone, per tutte le imprese edili che opereranno nella zona del sisma, l’obbligo di iscrizione alle Casse Edili delle province nelle quali saranno effettuati i lavori e, di conseguenza, l’obbligo a rispettare integralmente e inderogabilmente la contrattazione collettiva nazionale e provinciale dei lavoratori edili. Si tratta di un importante tassello nella costruzione di un modello economico e produttivo fondato sulla legalità e sul “lavoro buono” nel quale opereranno solo imprese esecutrici e committenti (pubblici e privati) conformi alla regolarità contributiva e fiscale, alla legalità, alla sicurezza sul lavoro, alla qualità nel processo di ricostruzione. Questo intervento deciso dal Commissario, da noi della Cgil fortemente voluto, si inserisce a pieno titolo nell’ambito degli impegni assunti nel Protocollo d’intesa sulla legalità sottoscritto da tutte le parti sociali il 27 giugno 2012. Da oggi quindi non sarà più tollerata in questa regione una logica “mordi e fuggi” per cui diverse imprese potevano sfuggire a qualunque controllo, rendendo di fatto possibile i fenomeni che purtroppo permeano in particolare il settore dell’edilizia: penetrazione della criminalità organizzata, caporalato, lavoro nero, import/export di manodopera, sottosalario. L’obiettivo raggiunto rappresenta quindi un importante passo in avanti, che va completato con quanto già concordato nel Protocollo d’intesa, a partire dalla verifica della congruità della manodopera impiegata nei cantieri, nonché dai processi di selezione e qualificazione delle imprese sulla base delle competenze tecniche e professionali e del rispetto dei diritti dei lavoratori. Per quanto ci riguarda la soddisfazione di quanto si sta realizzando nella definizione degli strumenti utili alla ricostruzione è attenuata dalle difficoltà che le popolazioni colpite dal sisma stanno ancora vivendo ed alle quali bisogna rispondere al più presto in modo esaustivo.
Il lavoro da fare resta ancora tanto, ma se si continuerà a perseguire la logica che sta alla base del Protocollo del 27 Giugno sarà possibile realizzare un nuovo modello di sviluppo.Antonio Mattioli Cgil E.R.,Luigi Giove Fillea-Cgil E.R.
29 settembre 2012
Una buona proposta
Pier Luigi Bersani nel suo discorso conclusivo alla Festa nazionale del PD ha
sostenuto che i parlamentari non debbano avere un'indennità superiore a quella
dei Sindaci.
Assieme all'On. Albonetti, questore della Camera, e ad alcuni deputati del PD
abbiamo depositato una proposta di legge che raccoglie l'idea del Segretario
nazionale. E' una proposta che riguarda l'indennità e che ridefinisce i
rimborsi per i soggiorni a Roma per i deputati eliminando l'istituto della
forfetizzazione e introducendo un rimborso limitato sulla base di
documentazioni formali da presentare agli uffici della competenti della
Camera.
Questa proposta ci pare corrispondente all'esigenza inderogabile di
un'ulteriore maggiore sobrietà del trattamento degli eletti in Parlamento dopo
avere già decurtato il trattamento economico percepito dai parlamentari degli
ultimi anni di circa 1000 euro al mese e dopo aver abrogato i vitalizzi a
partire da coloro che sono attualmente in carica come il sottoscritto.?
On. Massimo Marchignoli
27 settembre 2012
Quale produttività ?

pensioni , del mercato del lavoro, dell’articolo 18 e ultimo, l’attacco di Monti allo Statuto dei Lavoratori, notifico che questo Governo non ha idee precise su sviluppo e crescita, ha sbagliato nelle riforme e il mercato del lavoro inclusivo ed auto regolante della Fornero esiste solo nelle aule universitarie, perchè l’economia reale è un’altra cosa. Detto questo ora il Governo invita le parti sociali, sindacati ed imprenditori a trovare accordi per aumentare la competitività ed alzare la produttività. Sembra che il tutto passi attraverso le braccia e le menti di operai e impiegati o anche di imprenditori poco propensi agli investimenti. La realtà invece è più complessa. Il valore aggiunto è la differenza tra ricavi e costi, la produttività è il valore aggiunto per occupato che si ottiene in base a innumerevoli fattori; per esempio il costo dell’energia, il costo della burocrazia, il costo dei prestiti bancari, l’inefficienza di macchinari obsoleti e tecnologie superate, l’elevato costo delle assicurazioni, il costo dei trasporti, ecc..ecc. E’ ovvio che gli investimenti li fanno gli imprenditori ma in una fase come questa anche gli imprenditori “seri “ hanno qualcosa da ridire perché per investire serve la domanda del mercato ed un regime fiscale competitivo ed in linea con gli altri Paesi dell’Ocse. Non voglio fare il difensore degli imprenditori ma purtroppo il costo del lavoro e la tassazione del profitto commerciale in Italia è tra le più alte al mondo (68,6%). Perciò è chiaro che “ l’economia reale “ produttrice della ricchezza solida e non di carta abbisogna di un reale cambio di passo e inversione di tendenza. La competitività dipende molto di più dal sistema paese e si deve operare sulla redistribuzione della ricchezza, l’uguaglianza, la legalità, la lotta all’evasione, alla corruzione, alla fuori uscita di capitali verso i paradisi fiscali, alla speculazione finanziaria, alla tassazione sulle transizioni finanziarie, l’universalità dei diritti e delle tutele, un piano sull’innovazione industriale, sulla mobilità sostenibile, sulle energie rinnovabili e sull’ambiente per evitare disastri idrogeologici, l’armonizzazione dei costi del sistema pubblico evitando gli sprechi e i clientelismi ma salvaguardando la meritocrazia e tanto altro. Tipo la lotta allo sfrenato neo-liberismo, perché sono evidenti i danni prodotti, mentre sarebbe ragionevole pensare ad una reale Governance mondiale che regoli almeno i processi fondamentali che toccano tutte le nostre vite direttamente o indirettamente. La competitività non si ottiene solo caricando i muscoli dei lavoratori e aggiungo che in un periodo di crisi strutturale e duratura mai visto, perché è una crisi di sistema, invece di detassare gli straordinari si dovrebbe incentivare ed aiutare le riduzioni di orario per non lasciare indietro nessuno. In un momento come questo lavorare meno per lavorare tutti non è una proposta ideologica ma è un elemento economico indispensabile per garantire la sostenibilità dei cittadini lavoratori e dare continuità alla domanda del mercato. PROFESSORI…RIFLETTETE… Angelo Gentilini
24 settembre 2012
La lotta di classe " a rovescio "
Manager italiani sempre più ricchi, lavoratori sempre più poveri.
Sono stati pubblicati i compensi ufficiali dei manager italiani nel 2011. Il dato è impressionante. L’indice della borsa italiana è sceso del 25 % ma i manager delle stesse aziende hanno aumentato le loro retribuzioni. In particolare i 100 più pagati hanno incassato nel 2011 ben 352 milioni di euro complessivi. Con un aumento di 50 milioni sull’anno precedente, pari al 16,5 % di aumento su base annua. Una voracità non comune.
A fronte di questi compensi ci sono le retribuzioni dei lavoratori dipendenti che non recuperano neppure l’inflazione. Secondo l’Istat le retribuzioni contrattuali sono aumentate dell’1,8 % contro un’inflazione del 3,3 % e il salario lordo medio annuo nel 2011 è circa 23.000 euro. Quindi il rapporto tra la retribuzione del più pagato (Tronchetti Provera) pari a 23 milioni lordi e la retribuzione media lorda dei lavoratori è circa 1.000 volte. Qualche tempo fa si stimava il rapporto 1: 400, ormai questo rapporto è stato superato di slancio.
Questo segnala una volta di più che mentre ai lavoratori vengono chiesti sacrifici, salari legati alla produttività, i capi delle aziende aumentano le loro retribuzioni in modo più che proporzionale, annullando gli aumenti della tassazione e dei prezzi. Anzi aumentando il loro margine di guadagno netto. Sarebbero questi gli esempi da proporre al paese ? Per di più si aumentano i compensi mentre le loro aziende si svalutano in borsa e sono in difficoltà. Si potrebbe dire che più difficoltà hanno le aziende più aumentano i loro compensi.
I lavoratori invece stringono la cinghia. Diminuiscono gli occupati. Poiché complessivamente il monte salari si riduce la domanda interna e quindi la recessione diventa più grave.
E’ chiaro chi porta il peso e chi si fa portare.
Sarà anche un termine desueto, ma questa si chiama lotta di classe e per di più la stanno vincendo le classi dominanti che aumentano la quota di Pil che si autoattribuiscono, mentre i lavoratori diminuiscono pesantemente la loro quota.
Così si ottengono 2 effetti, entrambi negativi. Il primo è che le distanze sociali aumentano per effetto dell’egoismo delle classi dominanti. L’Italia è oggi un paese fortemente ineguale e con mobilità sociale pari a zero. Il secondo è che la ripresa economica si allontana perché senza una ripresa della domanda interna - che solo l’aumento dei salari, degli stipendi e delle pensioni può garantire - e della fiducia nel futuro, l’economia italiana è destinata al ristagno. Per di più non è nemmeno vero che essendo i percettori di alti redditi pochi, solo “tosando” la grande massa dei contribuenti si possono trovare le risorse necessarie per aiutare la ripresa.
Per questo è perlomeno strana l’affermazione del Presidente Monti che si augura che le richiesta salariali per i rinnovi contrattuali siano moderate. Per rimettere in moto la domanda servono anche aumenti salariali.
La questione è seria e andrebbe affrontata con chiarezza, altrimenti non usciremo dalla recessione.
Questa è la classe economica dominante che vorrebbe condizionare anche il futuro politico del nostro paese, perfino in barba ad ogni risultato elettorale.
Alfiero Grandi
21 settembre 2012
Fiat: il punto Fiom-Cgil
19 settembre 2012
Aveva ragione la Fiom-Cgil
Ancora una volta si deve ammettere che la Fiom-Cgil aveva ragione, da anni ha ragione. Sto parlando della questione Fiat e della gestione Marchionne. Ora anche quelli che “senza se e senza ma” stavano dalla parte dello strapagato super manager ammettono che si deve intervenire e verificare le reali intenzioni della Fiat. Evito di parlare della parte storica e di quanto, nel bene e nel male, la Fiat abbia condizionato le scelte del nostro Paese e la vita dei lavoratori/ci. Restando ai tempi nostri non c’è che da essere enormemente delusi, anche solo perché noi della Fiom non eravamo scettici a presindere, come ci vogliono dipingere, ma perché il progetto Fabbrica Italia faceva acqua da tutte le parti e ora si vuole dire che è tutta colpa e solo colpa della crisi. Francamente credo che in tutti i campi i lavoratori italiani abbiano già dato e lasciato tanto per strada, dal potere d’acquisto dello stipendio, ai diritti, alle condizioni di lavoro, all’orario di lavoro, alle tutele, alla democrazia fuori e dentro le fabbriche, alle pensioni . Voglio fare osservare per l’ennesima volta che nelle aziende dell’auto tedesche i lavoratori hanno degli stipendi che sono il doppio di quelli italiani, a fronte di un orario medio settimanale pari a 35,5 ore e con tutele e diritti inviolabili. Nonostante ciò le marche tedesche sono tra le più vendute e quelle italiane NO. Siamo perfino arrivati al punto che Cesare Romiti, ex Amministratore Delegato Fiat, che era uno con cui era difficile strappare degli accordi migliorativi per i lavoratori, afferma che aveva ragione la Fiom e non trova elementi per contraddire le posizioni del Segretario Nazionale Fiom, Maurizio Landini.
Angelo Gentilini