11 novembre 2018

Sonia Davis, un'artista, cantante, donna, moglie, mamma.

Vedendola sorridente, energica e mai stanca di cantare, non penseresti mai che Sonia Davis, nella vita, ne ha passate di tutti i colori. I dolori e le sconfitte resteranno dietro le quinte anche giovedì sera quando l’eclettica artista ravennate salirà sul palco del Mariani con il pianista Mario Accardo per un concerto emozionale che attraverserà la musica dai Beatles a Tina Turner, passando per Mina e i grandi successi italiani. La cantante, che all’anagrafe di cognome fa Zanzi, è passata agli annali perché nel 1993, per amore, disse no ai Simply Red intenzionati a produrla. Regina della musica dance anni Novanta con i FPI Project (prima era stata la voce di Genio & i Pierrots), i milioni di dischi venduti all’epoca sono oggi, purtroppo, solo un bellissimo ricordo. 
Sonia, la tua ascesa musicale stona con la vita che conduci oggi?
“Non ho mai smesso di cantare perché la musica resta la mia più grande passione. Ma il mondo è molto cambiato. Oggi, ci vogliono tre serate per percepire quello che alcuni anni fa prendevi in una. Non esistono più i cachet, esistono i budget dei locali: ai quali, se vuoi lavorare, devi adattarti. Un declino che è andato di pari passo alla storia della mia famiglia: dieci anni fa Gianni, il mio compagno, morì in seguito a un aneurisma cerebrale che lo lasciò un anno in coma. Nostro figlio Federico aveva solo quattro anni, io avevo da poco perso entrambi i genitori. Una tragedia che ebbe contraccolpi pesantissimi sulla mia vita”.
Anche di tipo professionale?
“Io e Gianni avevamo il bar Crudelia di Russi, dove oggi continuo a vivere con mio figlio. Per andare da lui ogni giorno a Montecatone, dove era ricoverato e dove, sebbene in coma, mi pareva così vivo da sperare di poterlo avere per sempre anche in quelle condizioni, dovetti assumere dei dipendenti, accumulando debiti su debiti. I genitori di Gianni vissero per mesi e mesi in camper fuori dall’ospedale, pur di potergli stare vicino. Le cure costavano, i viaggi pure. Nel giro di poco mi ritrovai con 350mila euro da pagare, gli ufficiali giudiziari appresso, senza casa e senza lavoro, visto che persi anche il bar”. 
Come sei riuscita a risollevare la testa?
“Con molti sacrifici. Andavo a cantare anche quando Gianni era ancora in coma, per non morire. Dopo la sua scomparsa, non ho mai smesso di farlo, pur di garantire a Federico che ci fosse qualcosa da mangiare. Una vita durissima e tragica, l’esatto contrario di quella che avevo avuto fino ad allora. A volte credo che mio figlio sia arrivato per permettermi di sopravvivere al dolore. Avevo già 39 anni, non ero più una ragazzina”.
Com’è stato crescere Federico da sola?
“Difficilissimo. Ma sono orgogliosa del lavoro che ho fatto. Lui si ricorda bene del papà, ne parliamo ogni giorno. Per Federico affrontare l’argomento della morte non è mai un problema, lo fa con una disinvoltura pazzesca. Sono stata molto brava a fargli digerire e superare la perdita del papà. Sono stata molto meno brava con me stessa: non ho ancora elaborato il lutto, nonostante siano passati dieci anni”.
Che cosa ha insegnato a te e a tuo figlio la tragedia che vi ha colpiti?
“Io ho imparato a vivere alla giornata, a non fare progetti a lungo termine. Mi sono messa la corazza, la vita ti cambia nel giro di un secondo e sei costretto a modificare il punto di vista sulle cose. Federico è un ragazzino speciale: è abituato a vedere che mi arrabatto per garantire a me e lui una vita dignitosa. Sa quanta fatica faccio da sola. La mattina faccio assistenza a una persona affetta da depressione, la sera quando c’è la possibilità corro a cantare: ho la mia band, sto portando avanti un progetto importante su Tina Turner, poi i concerti con Mario Accardo. La grande beffa è che la vita non ti ricompensa perché hai sofferto tanto”. 
Angelo Gentilini, da info www.emiliaromagnamamma.it/2015