Con
la denominazione di “Statuto dei lavoratori” ci si riferisce alla
legge n.300 del 20 maggio 1970, recante “Norme sulla tutela della
libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale nei
luoghi di lavoro e norme sul collocamento”, che è una delle norme
principali del diritto del lavoro italiano. La sua introduzione
provocò importanti e notevoli modifiche e migliorie sia sul piano delle
condizioni di lavoro che su quello dei rapporti fra i datori di
lavoro, i lavoratori, le lavoratrici e la qualità della loro
rappresentanza sindacale. In Italia la democrazia e i diritti
costituzionali sono entrati nei luoghi di lavoro dopo anni di dure
lotte, culminate con il cosiddetto “Autunno caldo” del 1969. Il primo a parlarne nel 1952 fu il segretario generale della Cgil Giuseppe Di Vittorio, che poi portò la proposta in Parlamento nel 1957. Proposta rilanciata nel 1963 da Aldo Moro nel discorso di insediamento del suo Governo. Successivamente il maggior promotore dello Statuto fu Giacomo Brodolini, sindacalista
socialista che fu Ministro del lavoro e della previdenza sociale.
Purtroppo non lo vide venire alla luce poiché morì poco dopo
l'istituzione della Commissione nazionale per la redazione di una
bozza di statuto, alla cui presidenza aveva chiamato il docente
universitario, anche lui socialista, Gino Giugni, a cui va il merito
di aver portato a compimento lo Statuto seguendo le indicazioni già
segnate da Brodolini. Lo Statuto dei lavoratori è formato da 6
Titoli per un totale di 41 articoli ed il più conosciuto e dibattuto
è l'art.18 “Reintegrazione nel posto di lavoro”, che tutela/tutelava i
lavoratori e lavoratrici dai licenziamenti ingiustificati.
Puntualmente nel corso degli anni le forze imprenditoriali e le loro
forze politiche di riferimento hanno messo in discussione lo "Statuto
dei lavoratori" e nell'ultimo decennio con il sopraggiungere della
crisi di sistema abbiamo assistito ad un'accelerazione tendente ad
imbarbarire le relazioni e la reale democrazia dentro e fuori i posti
di lavoro. In effetti, dopo innumerevoli tentativi dei Governi conservatori, l'art. 18 è stato paradossalmente abrogato dal centrosinistra di Matteo Renzi nel marzo 2015, un anno dopo la presentazione del Jobs Act al Consiglio dei ministri. Tutto questo è assurdo perché colpisce dalla parte
sbagliata e dalla parte che ha già dato tanto per il nostro Paese e
allontana la discussione dalle reali necessità e riforme
strutturali. Tenere insieme i diritti del lavoro, quelli della
cittadinanza, i beni comuni, la giustizia ambientale, la tutela
sanitaria (molto attuale) è l'unico modo per difendere la democrazia
e la vita delle persone nella sua complessità. Io spero che ci sia un
risveglio dei lavoratori, lavoratrici e di tutti i cittadini in
generale, che porti ad una più significativa partecipazione per
rivendicare un diverso e sostenibile modello socio-economico,
partendo proprio dal lavoro che è l'economia reale che da a tutti la
dignità e la libertà, come sancisce la Costituzione della
Repubblica Italiana.
Angelo Gentilini